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La culla del Tè

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La leggenda

Sebbene la coltivazione del tè e l'arte di preparare l'infuso si siano sviluppate in Cina, è difficile risalire alle sue origini, che si perdono nel mito. Tra le numerose leggende fiorite intorno alla profumata bevanda, una delle più affascinanti racconta come fosse l'imperatore cinese Shen Nung a scoprire, nel remoto 2737 a.C., il tè. Si narra che il sovrano, nelle pause dei viaggi avesse l'abitudine di ristorarsi con acqua di ruscello riscaldata in un recipiente. Un giorno, un domestico disattento gli porse una tazza contenente alcune foglie staccatesi da una pianta selvatica di tè e lasciate cadere dal vento nel recipiente posto sul fuoco: il liquido, fattosi giallo-oro, sparse subito una dolce fragranza e Shen Nung, incuriosito, lo assaggiò, trovandolo gradevolissimo. Da allora l'imperatore volle dissetarsi solo con quell'infuso e incoraggiò la coltivazione del tè, presto apprezzato anche dai suoi sudditi...

La storia

In realtà la storia documentata del tè si confonde con quella della Cina: è accertato che, all'epoca dei cosidetti Tre Regni (222-277 d.C.), con le sue foglie si preparasse una pomata per curare i dolori reumatici. Un secolo più tardi, durante il periodo delle Sei Dinastie (386-589), si diffuse l'abitudine di realizzare un infuso, ma è con la dinastia T'ang (618-907) che il tè divenne oggetto di un fiorente commercio. La bevanda era apprezzata in tutte le regioni dell'impero, compreso il Tibet, e perfino dalle popolazioni nomadi, come quelle mongole e tartare.

Tra mito e storia

Secondo la tradizione orientale, un santone buddhista, Bodhidharma, decise di rimanere sveglio per sette anni in contemplazione del Buddha, ma all'inizio del quinto anno, colto da un terribile attacco di sonno, per evitare di crollare, si agrappò a un cespuglio e alcune foglioline gli rimasero in mano: masticandole la sonnolenza sparì e il santone, grazie al loro effetto stimolante, riuscì a completare la sua veglia. Nella variante giapponese della leggenda il Bodhidharma, per rimanere sveglio, si strappa le palpebre, le getta a terra e queste si trasformano in due rigogliosi cespugli: le prime piante di tè. Se, come è assodato, i cinesi furono i primi a consumare il tè come bevanda, cinese è pure l'origine del nome: nella maggior parte degli antichi testi il tè veniva chiamato Tou; alcuni lo chiamavano Chung, altri Kha o Cha. Il nome usato in Europa e Stati Uniti (Tea, Thè, Thee, Tè) probabilmente deriva dalla rara versione Tseh, presente in altri testi cinesi antichi. Le prime notizie sul tè si trovano in una lettera scritta nel 317 a.C. da un capo militare cinese, Liu Kin, che ne faceva richiesta al nipote per rinvigorire il suo vecchio corpo, mentre in Europa le prime informazioni sugli usi e costumi cinesi relativi al tè iniziarono a circolare solo nel XVI secolo attraverso la traduzione, a opera dell'umanista e geografo trevigiano Giovan Battista Ramusio (1485-1557) di un testo del mercante persiano Haji Mahomet in cui si descrive una pianta ornamentale detta "sciai" dalle cui foglie in Oriente si preparava una bevanda medicamentosa.

Il "tributo del tè"

Verso la fine dell'VIII secolo, sotto la dinastia T'ang, un dignitario imperiale fu mandato nella regione montuosa dello Yang-Hsien, vicino all'odierna Shangai, per aggiornare il sovrano cinese sulle condizioni economiche della zona dove, in un monastero buddhista, ebbe modo di assaggiare il tè locale: la bontà dell'infuso lo spinse a inviarne a corte un consistente campione e l'imperatore, entusiasta, da quel momento ne pretese una fornitura annuale. Così ebbe origine il "tributo del tè" che, nel giro di un ventennio, arrivò a impegnare circa 30.000 persone per solo trenta giorni all'anno nella raccolta.

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